Non automaticamente.
Difatti la prestazione del medico deve essere valutata sotto il profilo della speciale diligenza che l’appartenenza ad una determinata categoria professionale gli impone.
Solo la violazione di tale standard dà adito a responsabilità e, tra le violazioni, va ricondotta anche quella del dovere d’informare (consenso informato).
E’ del tutto evidente ed è cosa ovvia che la responsabilità professionale del medico di cui si discute si ricollega alla obbligazione che egli assume, nei confronti del cliente, di
eseguire un determinato trattamento medico-chirurgico, che generalmente si distingue in tre diversi momenti: la diagnosi, la scelta della terapia e la sua attuazione.
Nel caso di intervento di particolare difficoltà "anche se l'esecuzione dell'intervento richiede un impegno tecnico-professionale speciale, il
medico chirurgo ha l'obbligo di adottare tutte le precauzioni per impedire prevedibili complicazioni e di adoperare tutta la scrupolosa attenzione che la particolarità del caso richiede, secondo la
prudenza e la diligenza esigibili dalla specializzazione posseduta. Pertanto il medico risponde anche per colpa lieve per l'inosservanza di tali obblighi" (Corte di Cassazione, Sez.
III, 28 settembre 2009 n. 20790).
Certamente.
La legge prevede che il professionista utilizzi nel proprio lavoro una diligenza commisurata alla natura dell'attività svolta e, nel caso di un sanitario, si richiede che lo stesso adoperi nel
proprio agire prudenza, diligenza e perizia particolari, in considerazione dei beni fondamentali che vengono sottoposti alla sua attenzione.
Tra l’altro, in caso di affermata imprudenza, non trova neppure applicazione l’art. 2236 c.c., il quale prescrive una forma di limitazione della severità di giudizio.
In particolare, la Cassazione ritiene che "la limitazione della responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave a norma
dell'art. 2236 c.c. si applica nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà e, in ogni caso, tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all'imperizia,
non all'imprudenza e alla negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell'esecuzione di un intervento o di una terapia medica, provochi un danno per
omissione di diligenza" (Corte di Cassazione, Sez. III, 19 aprile 2006 n. 9085).
Sul punto va precisato che, ai fini risarcitori, la richiesta di risarcimento può essere formalizzata (anzi è preferibile) direttamente nei confronti della struttura ospedaliera,
posto che il medico di turno ha agito nel corso del rapporto di lavoro che svolge presso la struttura.
Il contratto di cura, infatti, viene perfezionato tra il paziente e la struttura, la quale poi mette a disposizione i singoli sanitari suoi dipendenti.
La giurisprudenza di legittimità e di merito, sia remota che recente, ritiene che "il rapporto che si instaura tra paziente e medico della struttura ospedaliera,
trova la sua fonte nel contatto sociale, pertanto, il sanitario, per andare esente da responsabilità, dovrà fornire la prova del fatto dell'adempimento dell'obbligo di protezione, dando la
descrizione delle esatte modalità di intervento, nonché delle precise condizioni del paziente a partire dal momento in cui lo ha avuto in cura sino all'evento o, comunque, alle dimissioni"
(Corte di Cassazione, Sez. III, 30 giugno 2011 n. 14405).
Dal punto di vista penale, la denuncia deve essere presentata entro 3 mesi da quando si ha conoscenza del fatto che costituisca reato.
In particolare, è importante sapere che il medico convenzionato con la struttura ospedaliera nazionale, ad esempio un'ASL, assume la qualifica di pubblico ufficiale:
"il medico convenzionato con l'Asl riveste la qualifica di pubblico ufficiale, e non quella di incaricato di pubblico servizio, in quanto svolge la sua attività per
mezzo di poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione di esami e prestazioni alla cui erogazione il cittadino ha diritto presso
strutture pubbliche ovvero presso strutture private convenzionate" (Corte di Cassazione, Sez. V penale, 19 gennaio 2011 n. 7443).
Dal punto di vista civile opera la prescrizione ordinaria decennale, poiché il rapporto tra medico e paziente, o fra Ospedale e ricoverato, è un vero e proprio
rapporto contrattuale.
Tuttavia, quando possibile, è preferibile agire entro 5 anni, in moda da poter far valere anche la responsabilità extracontrattuale.
A conferma si richiama il seguente principio giurisprudenziale: "in tema di responsabilità civile nell'attività medico - chirurgica, l'ente
ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico proprio dipendente ed anche
l'obbligazione di quest'ultimo nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale, atteso che ad esso si ricollegano obblighi di
comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. Ne consegue che alla responsabilità
contrattuale del medico per il danno alla persona, causato da imperizia nell'esecuzione di un'operazione chirurgica, si applica l'ordinario termine di prescrizione decennale" (Corte di
Cassazione, Sez. III, 19 aprile 2006 n. 9085).
Si poiché il medico è tenuto ad informare correttamente il paziente di ogni iniziativa, con riferimento ai benefici possibili, alle modalità di intervento, alle possibilità di
scelta fra diverse tecniche operatorie, ai rischi prevedibili in sede post-operatoria.
Si tratta del principio che rappresenta il diritto del paziente di scegliere, accettare o anche rifiutare i trattamenti (diagnostici, terapeutici ecc) che gli vengono proposti, dopo essere stato
pienamente informato (salvo sua esplicita rinuncia) sulla diagnosi e il decorso previsto della malattia e sulle alternative terapeutiche (incluso il loro rifiuto) e le loro conseguenze.
E’ del tutto evidente ed è cosa ovvia che la responsabilità professionale del medico di cui si discute si ricollega alla obbligazione che egli assume, nei confronti del cliente, di
eseguire un determinato trattamento medico-chirurgico, che generalmente si distingue in tre diversi momenti: la diagnosi, la scelta della terapia e la sua attuazione.
La sua particolarità, di cui già si è fatto cenno, sta nel fatto che l’azione del medico, rispetto a quella di altri professionisti, va ad incidere su un diritto fondamentale, che è
quello dell'integrità psicofisica dell'uomo la quale deve essere (“andrebbe”) rispettata sempre in ogni momento e in ogni situazione.
Basti richiamare una fondamentale pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale “il diritto al consenso informato del paziente, in
quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato,
per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori
giuridici a fondamento dell'ordine giuridico e del vivere civile o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio. Tale consenso è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di
escluderlo, il fatto che l'intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è
posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o
psichica” (Corte di Cassazione Civile, Sez. III, 28 luglio 2011 n. 16543).
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